L’appello di Papa Francesco per la Palestina: “Negoziati non facili. Ci vuole più coraggio a fare la pace che a fare la guerra”

(Il Fatto Quotidiano. F. Q.).

“Ieri ricorreva il decimo anniversario dell’invocazione per la pace in Vaticano alla quale erano presenti il presidente israeliano, il compianto Simon Perez, e quello palestinese Abu Mazen. Quell’incontro testimonia che stringersi la mano è possibile e che per fare la pace ci vuole molto più coraggio che per fare la guerra”. Così Papa Francesco al termine dell’Angelus. “Pertanto incoraggio – ha continuato – i negoziati in corso tra le parti, che non sono facili, e auspico che le proposte di pace per il cessate il fuoco su tutti i fronti e per la liberazione degli ostaggi vengano subito accettate per il bene dei palestinesi e degli israeliani”. “Dopodomani in Giordania si terrà una conferenza internazionale sulla situazione umanitaria a Gaza convocata dal re di Giordania, dal presidente dell’Egitto e dal segretario generale delle Nazioni Unite – ha aggiunto -. Mentre li ringrazio per questa importante iniziativa incoraggio la comunità internazionale ad agire urgentemente con ogni mezzo per soccorrere la popolazione di Gaza stremata dalla guerra. Gli aiuti umanitari devono potere arrivare a chi ne ha bisogno e nessuno lo può impedire”. E ha concluso: “Non dimentichiamo il martoriato popolo ucraino che più soffre e più anela la pace. Vi siamo vicini. È un desiderio questo della pace. Perciò incoraggio tutti gli sforzi che si fanno perché la pace possa costruirsi quanto prima con l’aiuto internazionale”.

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Il cerchiobottismo del Vaticano: dopo le aperture, si torna alla posizione tradizionale

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(Il Fatto Quotidiano. Valerio Pocar).

Qualche settimana fa il Papa regnante si è recato ai sedicenti Stati generali della natalità e ha tenuto un breve discorso nel quale ha accumulato alcune affermazioni per lui consuete: che la natalità soffre di egoismo e di materialismo, che mentre si riempiono di oggetti e non mancano gli animali di compagnia le case sono orbate dei figli, che l’età media della popolazione italiana (47 anni) è un dato negativo, che occorre valorizzare il ruolo dei nonni (dopotutto, hanno assicurato due generazioni! nda), che, per evitare il cosiddetto “inverno demografico”, occorre aiutare le giovani coppie ed evitare che la potenziali madri siano costrette alle scelta tra la procreazione e la cura della prole e la necessità o l’opportunità del lavoro (ovvio, ma bene, nda). Nel corso delle sue esortazioni se n’è uscito con una battuta – dettata, vogliamo sperare, dall’enfasi retorica del momento – e ha equiparato gli anticoncezionali alle armi da guerra, che avrebbero entrambi la funzione di troncare la vita. Sapevamo da un pezzo che al romano Pontefice gli anticoncezionali sono indigesti, ma paragonare le armi degli stermini in Ucraina o nella striscia di Gaza, per citare soltanto i casi a noi più prossimi, e quelle che troncano in giro per il mondo decine di migliaia e migliaia di vite attuali, alle “armi” che impediscono a creature mai nate e neppure concepite di venire al mondo sembra davvero un’affermazione semplicemente priva di senso.

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Il Papa si scusa, ma le sue parole hanno avuto un impatto devastante: perché questo scivolone?

(Marco Politi. El Fatto Quotidiano).

Un Papa non parla come una vignetta di Charlie Hebdo. L’asciutto commento di un fedele d’Oltralpe esprime icasticamente lo sconcerto e la repulsione che hanno preso alla sprovvista l’opinione pubblica di fronte alla battuta di Francesco sul tema dell’accoglienza degli omosessuali in seminario. Buttare là, senza pensare, il termine “frociaggine” rischia di essere un colpo durissimo al prestigio di Jorge Mario Bergoglio. Un pontefice non parla così. Né in pubblico né in privato. Qualunque sia la sua visione. Che sia conservatore o moderato o riformatore.

E’ specialmente la stampa internazionale a rimanere allibita. E lo si coglie dalle parole attentamente soppesate per descrivere l’episodio. Scrive il giornale francese Figaro, moderato, che il pontefice ha impiegato un termine considerato in Italia “volgare e insultante”. Scrive l’inglese Guardian che a quanto si apprende il pontefice ha usato un “epiteto offensivo e calunnioso”. Religioso o non religioso, l’ambiente mediatico internazionale, in fondo, continua a guardare nonostante tutto al Vaticano come ad una “santa sede”, un trono dove siede un sovrano erede di una antica e venerata tradizione.

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“C’è già troppa frociaggine”: le parole di Papa Francesco (riportate dai vescovi) sul no all’ingresso degli omosessuali in seminario

(il Fatto Quotidiano. F.Q.).

Il luogo è ufficiale, l’occasione ancora di più. I toni, invece, sono colloquiali. Anche troppo, considerando che a parlare è il Papa e chi lo ascolta sono i vescovi. Il tema è se accettare o meno persone omosessuali in seminario: Bergoglio esprime il suo niet e, secondo quanto confermato da chi era presente, si lascia scappare una parola infelice. Quale? In questi tempi c’è già troppa “frociaggine” nei seminari.

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Ecco perché le maggiori banche dei paesi del G7 sono “i primi inquinatori al mondo”. Il rapporto ReCommon

(Il Fatto Quotidiano. Luisiana Gaita).

Le maggiori banche dei Paesi del G7 sono responsabili di più emissioni di gas serra di Italia, Germania, Regno Unito e Francia messe insieme. Ammontano a 2,7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, contro i 2 miliardi di tonnellate di CO2 dei quattro paesi presi in considerazione. Alla vigilia del vertice del G7 Finanze di Stresa, ReCommon lancia il suo rapporto “Senza controllo, le emissioni di CO2 delle più grandi banche mondiali”. E lo fa pochi giorni dopo aver presentato un esposto alla Procura regionale del Lazio della Corte dei Conti sull’operato di Sace, l’assicuratore di Stato italiano controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, a cui la ong contesta “una possibile non corretta gestione delle risorse pubbliche e una mancata tutela degli interessi dei cittadini italiani” in relazione alle garanzie emesse negli ultimi anni nei settori più a rischio come petrolio e gas, petrolchimico e crocieristico.

“Se le più importanti banche del Pianeta fossero un Paese, sarebbero tra i primi inquinatori globali. I ministri delle Finanze del G7 e le autorità di vigilanza finanziaria – commenta Daniela Finamore di ReCommon, co-autrice del report – devono porre un freno al settore finanziario e fermare il finanziamento dei combustibili fossili, che rappresentano il fattore chiave della crisi climatica, dell’aumento delle bollette energetiche e del continuo peggioramento degli eventi estremi che costringono le persone di tutto il mondo ad abbandonare le proprie case”.

La trasparenza (che manca) e le emissioni dei settori ad alta intensità di CO2 – “Il dato, ricavato sulla base delle informazioni disponibili alla fine del 2022 – spiega il rapporto – è calcolato ampiamente per difetto a causa della mancanza di trasparenza e delle scarse pratiche di divulgazione da parte degli istituti di credito”. Sebbene un numero crescente di banche fornisca i dati relativi al clima, la maggior parte di esse divulga solo parametri di intensità e non rende note le emissioni assolute. Solo 12 delle banche esaminate hanno divulgato i dati sulle emissioni assolute per più di un settore. “Una riduzione dell’intensità di carbonio dovuta all’aumento dei finanziamenti per le attività non fossili – spiega ReCommon – non implica necessariamente una riduzione delle emissioni assolute di gas serra, che invece richiede una tempestiva eliminazione del sostegno finanziario ai combustibili fossili”.

Secondo la ong, la mancanza di un sistema coerente di informazioni sull’impatto climatico e finanziario impedisce ai ricercatori di quantificare l’esposizione delle banche alle industrie ad alta intensità di carbonio. Al netto di queste criticità, un altro dato emerge chiaramente: nonostante rappresentino solo il 6% dell’esposizione totale dei prestiti analizzati nel rapporto, i settori ad alta intensità di carbonio quali l’agricoltura, il petrolio e il gas, l’industria mineraria e i servizi pubblici rappresentano oltre la metà delle emissioni totali finanziate. La stima, tra l’altro, non prende in considerazione le emissioni relative ai servizi di consulenza e sottoscrizione di titoli, alla gestione patrimoniale o ad altre attività di investimento da parte delle banche.

Il ruolo di Banca Intesa – Tra i soggetti più coinvolti nel business fossile non poteva mancare la più importante banca italiana, Intesa Sanpaolo, che dall’Accordo di Parigi ad oggi ha sostenuto il settore con 81,6 miliardi di dollari. Solo nel 2023, si parla di 8,6 miliardi di dollari di investimenti e 7,5 miliardi di dollari di finanziamenti. “Esemplificativo che Intesa Sanpaolo sia presente, tramite un finanziamento di 160 milioni di dollari della controllata Ubi Banca, nel controverso progetto di Eni di estrazione di gas offshore in Mozambico Coral South Lng” sottolinea ReCommon, ricordando che l’istituto di credito torinese non ha chiarito se sia coinvolta anche negli altri progetti Rovuma e Coral North Lng. “Di certo è molto esposta sul fronte del gas naturale liquefatto Usa nell’area del Golfo del Messico – aggiunge la ong – con 4,8 miliardi di dollari di finanziamenti concessi dal 2016 a oggi”. Nel luglio del 2023, Intesa Sanpaolo ha accordato un prestito di ben 1,08 miliardi di dollari per la realizzazione del mega terminal di export di gas naturale liquefatto texano Rio Grande Lng.

L’esposto sull’operato di Sace – Proprio in questi giorni, tra l’altro, ReCommon ha presentato un esposto alla Procura regionale del Lazio della Corte dei Conti sull’operato di Sace che, con le sue garanzie nei settori del petrolio e del gas, ma anche del petrolchimico e crocieristico. In Mozambico, Sace ha garantito il progetto Coral South Flng di Eni con 700 milioni di euro e Mozambique Lng con 950 milioni di euro, per cui l’agenzia dovrebbe coprire i prestiti per le operazioni di Saipem, tra cui quello di Cassa Depositi e Prestiti del valore di 650 milioni di euro. Quest’ultima operazione era stata valutata negativamente dalla stessa Corte dei Conti nel marzo del 2021, poiché concorreva al superamento dei limiti di portata degli impegni a carico dello Stato. “Se le cose vanno male – spiega la ong – Sace rimborsa con soldi pubblici le aziende oppure le banche che hanno prestato soldi alle aziende per i loro investimenti esteri”.

La stessa Corte dei Conti, attraverso la sua Sezione del Controllo sugli Enti, negli ultimi tre anni ha segnalato la necessità di provvedere a una maggiore diversificazione settoriale. Fra il 2016, anno di entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima, e il 2023, Sace ha emesso garanzie per il settore oil&gas pari a 20 miliardi di euro, di cui 4,95 lo scorso anno, che rappresentano una fetta importante dei cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi italiani. A novembre 2021, durante la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite tenutasi a Glasgow, l’Italia si era impegnata a porre fine al nuovo sostegno pubblico diretto al settore internazionale dell’energia da combustibili fossili entro la fine del 2022, sottoscrivendo quella che è passata alle cronache come la ‘Dichiarazione di Glasgow’. “La nuova policy al riguardo – scrive ReCommon – emessa da Sace solo nel 2023, quindi in estremo ritardo, consente all’Italia di sostenere con soldi pubblici progetti fossili almeno fino al 2028”.

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Tentato golpe in Repubblica Democratica del Congo, 20 persone arrestate: “Ci sono anche cittadini americani e britannici”

(Il Fatto Quotidiano. Giusy Baioni).

Un intento de golpe de Estado fue frustrado el domingo en Kinshasa , capital de la República Democrática del Congo : un equipo comando, compuesto según las autoridades por congoleños y ” extranjeros “, entre ellos tres estadounidenses y un británico , atacó primero la residencia del ministro de la Economía y posteriormente el Palacio de la Nación, donde se ubican las oficinas del presidente Félix Tshisekedi . “Las fuerzas de defensa y de seguridad cortaron de raíz un intento de golpe de estado. En este intento participaron extranjeros y congoleños, que quedaron incapaces de hacer daño, incluido su líder”, afirmó el general Sylvain Ekenge , portavoz del ejército congoleño , en un breve mensaje en la televisión nacional RTNC . Inmediatamente circularon en las redes sociales imágenes de los momentos del ataque y los siguientes, con los presuntos golpistas capturados: ropas rasgadas, rostros hinchados, atados y tirados al suelo. Entre ellos se ve claramente al menos un occidental. Todo empezó antes del amanecer, cuando una veintena de hombres armados y con uniforme militar atacaron el domicilio de Vital Kamerhe , viceprimer ministro y ministro de Economía, además del jefe del partido UNC ( Unión para la Nación Congoleña ) del gobierno mayoritario y candidato a presidente de la Asamblea Nacional: dos de sus guardaespaldas y un agresor fueron asesinados. Kamerhe y su familia resultaron ilesos, mientras que el céntrico barrio de La Gombe (zona de oficinas públicas, organismos internacionales y embajadas) vivía momentos de fuerte tensión, con hombres armados y disparos en pleno centro . Desde allí, los atacantes se dirigieron luego hacia el Palacio de la Nación , donde se encuentran las oficinas del jefe de Estado, entrando con la antigua bandera verde de Zaire de la época Mobutu . Uno de ellos, presentándose como líder del grupo, grabó un vídeo difundido en directo en Facebook antes de ser asesinado por las fuerzas de seguridad: se trata de Christian Malanga Musumari , de 41 años, que en el vídeo, que mezcla francés, inglés y lingala, afirma: “ Los soldados están cansados , no podemos convivir con gente como Kamerhe o Félix (Tshisekedi). Han hecho muchas cosas estúpidas en este país. Despertaremos en un país más hermoso que antes. Crecimos en la diáspora. Y la vida que llevamos no es normal. Félix, vete.” Palabras que parecen de un hombre exaltado: Malanga, nacido en Kinshasa, había emigrado desde hacía años a Estados Unidos , tomando su nacionalidad, era un ex soldado (según él, había servido en el ejército estadounidense) y había fundado una movimiento llamado Nuevo Zaire .

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Migranti, proposta di 15 Stati Ue (Italia compresa) per creare hub in paesi terzi. Un azzardo costoso per aggirare i rimpatri al palo

(Il Fatto Quotidiano. Franz Baraggino).

Nonostante l’approvazione del Parlamento Ue del nuovo Patto migrazione e asilo, l’immigrazione rimane uno dei temi al centro della campagna elettorale per le elezioni europee, anche nei Paesi che il Patto avvantaggia, a differenza di quelli di primo ingresso come l’Italia che la riforma penalizza. Ma proprio perché sotto elezioni, sono in tanti a voler mostrare iniziativa, così la l’idea italiana dei centri in Albania fa scuola e 15 Paesi, compreso il nostro, hanno scritto una lettera alla Commissione europea per suggerire “l’esame della potenziale cooperazione con i Paesi terzi sui meccanismi di hub di rimpatrio, dove i rimpatriati potrebbero essere trasferiti in attesa del loro allontanamento definitivo”. La lettera è firmata da Paesi BassiAustriaPoloniaRomaniaBulgariaRepubblica cecaGreciaCiproEstoniaLituaniaLettoniaMaltaFinlandiaDanimarca e Italia. “Incoraggiamo – si legge – il rafforzamento degli aspetti interni ed esterni del rimpatrio, per arrivare a un’efficace politica di rimpatrio dell’Ue”.

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Gaza, nulla giustifica la carneficina. L’alternativa per l’ebraismo c’è e si chiama riconciliazione

(Marco Politi. Il Fatto Quotidiano).

Ci sono momenti in cui l’Angelo della Storia passa tra le case e guarda sugli stipiti delle porte se ci sono i segni di menti e cuori aperti oppure di animi chiusi in se stessi. In tutte le culture si trovano simili immagini che rivelano un passaggio cruciale. Thomas Friedman, editorialista del New York Times, ha descritto questa stagione in maniera precisa: “Trovo inquietante e deprimente che oggi non ci sia nessun leader israeliano di rilievo nella coalizione di governo, nell’opposizione o nelle forze armate che aiuti coerentemente gli israeliani a capire questa alternativa – ridursi a paria globali o essere partner in Medio Oriente – né che spieghi perché dovrebbero scegliere la seconda”.

L’alternativa è proprio questa. Non si tratta di passare sopra agli atti barbari compiuti il 7 ottobre durante l’attacco di Hamas – sono incancellabili – ma si tratta di comprendere che nulla, proprio nulla giustifica la brutale carneficina che da mesi è in corso a Gaza ad opera del governo e dell’esercito israeliano.

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Via libera del Senato al decreto Pnrr che diventa legge. Nel testo c’è di tutto, consultori inclusi

(F. Q. Il Fatto Quotidiano).

Il Senato ha approvato in via definitiva (95 si, 68 no e 1 astenuto) il decreto che contiene disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il provvedimento, su cui il governo ha posto la fiducia, ha ricevuto il via libera dalla Camera il 18 aprile, e diventa quindi legge. Il testo prevede misure di vario genere, molte non attinenti al Recovery fund, cosa che ha suscitato le proteste nell’opposizione. Si va dal coinvolgimento del volontariato – leggi le associazioni antiabortiste – nei consultori, alla patente a punti nei cantieri, dall’aumento dei fondi per costruire i centri per migranti e richiedenti asilo in Albania alla deroga per concedere a Renato Brunetta lo stipendio da direttore del Cnel.

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La messa sbiadita: ormai in chiesa ci vanno in pochi. E tra i giovani solo uno su dieci

( Il Fatto Quotidiano. Marco Politi).

Erano i due pilastri maggiori del cattolicesimo praticato. Italia e Stati Uniti. Paesi con storie e società diverse, ma in cui la fede sembrava trasmettersi solidamente – pur con qualche dimagrimento – dalle famiglie ai figli.

Non è più così. Le indagini sociologiche in America rivelano che l’appartenenza religiosa mostra crepe non irrilevanti. Mentre in Italia quel cattolicesimo popolare di massa, su cui puntavano all’inizio del secolo le gerarchie cattoliche per esercitare ancora un potere di influenza politica, si è andato progressivamente sgonfiando.

L’ultimo libro del sociologo Luca Diotallevi ha un titolo azzeccatissimo: La messa sbiadita. Perché fotografa lucidamente l’affievolirsi inesorabile della partecipazione ai riti religiosi in quanto fenomeno, che non nasce da una contestazione radicale nei confronti della Chiesa come poteva avvenire negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, e nemmeno dal salto verso un altro mondo religioso.
No. Ciò che avviene è un progressivo allontanamento perché i soggetti non si riconoscono più né nella struttura ecclesiastica né nell’architettura mentale e spirituale della religione in cui sono cresciuti.

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Così lo scandalo dei “chierichetti del Papa” è arrivato ai piani alti della Santa Sede. L’estratto del libro-inchiesta”Vizio Capitale”

(Giuseppe Pietrobelli. Il Fatto Quotidiano).

Lo scandalo dei “chierichetti del papa”, ricostruito nel libro “Vizio Capitale. Sesso, potere e omertà in Vaticano”, scritto da Giuseppe Pietrobelli ed edito da Paper First, offre uno sconcertante spaccato delle connivenze che hanno coperto una vicenda torbida tra adolescenti avvenuta nel Preseminario “San Pio X” fatto ora chiudere da Bergoglio. È lo scandalo di chi sapeva e non ha fatto nulla per anni. Il chierichetto L. si confidò nel 2009 con il rettore don Renato Radice e nel 2013 con il vescovo di Como, Diego Coletti, spiegandogli di subire continue violenze. Fu minacciato di espulsione e non accadde nulla. Nel 2014 un testimone oculare, il polacco K, scrisse a vescovi e cardinali, perfino al Papa. L’inchiesta canonica fu insabbiata fino al 2017 quando il caso venne svelato dalla trasmissione “Le Iene”. Solo allora fu messo in moto il meccanismo che ha portato dopo sette anni, nel gennaio 2024 alla condanna in appello (due anni e 6 mesi di reclusione) per corruzione di minorenne a carico di don Gabriele Martinelli, assolto però con il dubbio dall’accusa di violenza sessuale. “Vizio Capitale” ha ricostruito con nomi e cognomi – in un capitolo cruciale, che qui pubblichiamo – la lunga catena dei porporati che in Vaticano sapevano e hanno taciuto.

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Vaticano, non luogo a procedere per il blogger del sito Silere non possum: “Difetto di giurisdizione”

( Alex Corlazzoli. il fatto quotidiano).

“Non luogo a procedere”. Si è chiuso così, per ora, il procedimento penale nei confronti di Marco Felipe Perfetti, blogger animatore del sito Silere non possum, particolarmente attento agli eventi e affari che avvengono sotto la cupola di San Pietro. Ieri, il presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone – dopo una breve camera di consiglio – ha dichiarato il “difetto di giurisdizione”.

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Vaticano, non luogo a procedere per il blogger del sito Silere non possum: “Difetto di giurisdizione”

(Alex Corlazzoli. Il Fatto Quotidiano).

“Non luogo a procedere”. Si è chiuso così, per ora, il procedimento penale nei confronti di Marco Felipe Perfetti, blogger animatore del sito Silere non possum, particolarmente attento agli eventi e affari che avvengono sotto la cupola di San Pietro. Ieri, il presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone – dopo una breve camera di consiglio – ha dichiarato il “difetto di giurisdizione”.

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Le suore che accusano Rupnik chiedono giustizia: finita l’inerzia vaticana, ecco le prossime mosse

(Marco Politi. Il Fatto Quotidiano).

La pietra comincia a rotolare, dice un vecchio proverbio montanaro. Mercoledì 3 aprile l’avvocata Laura Sgrò ha trasmesso al Dicastero della Dottrina della fede il “Libello” per chiedere giustizia per un gruppo di suore abusate dall’ex gesuita e noto artista di mosaici Marko Rupnik. Il religioso allontanato dalla Compagnia di Gesù è sotto indagine con l’accusa di avere compiuto numerosi abusi ai danni di un gruppo di consacrate della Comunità Loyola, fondata in Slovenia negli anni Novanta.

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