(Avvenire. Giulio Alabanese).
Quattordici cristiani, molti dei quali giovanissimi, sono stati uccisi con i panga e a colpi di kalashnikov in una zona della provincia congolese del Nord Kivu non lontano da quella dell’Ituri per mano dei ribelli delle Forze alleate democratiche (Adf). Si tratta di un gruppo armato che nel 2019 ha annunciato la propria affiliazione allo Stato islamico, accentuando così la connotazione jihadista della sua agenda politica. Il motivo dell’esecuzione è stato il loro aperto rifiuto di convertirsi all’islam. Il massacro, avvenuto una decina di giorni fa nei pressi del centro di Eringeti, è documentato in un video diffuso dal gruppo jihadista e rilanciato in Europa da fonti della società civile. Il commento delle immagini, a dir poco agghiaccianti, è in lingua kiswahili; in particolare, la voce algida e compassata è quella di un giovane congolese preso prima in ostaggio dagli islamisti e costretto poi a convertirsi per evitare la pena capitale. Le stesse fonti riferiscono che ogni settimana si verificano uno o due raid, vere carneficine, nei villaggi o nei campi, a volte anche sulle strade in terra battuta: uccidono, incendiano e sequestrano impunemente ragazzi e ragazze cristiani o animisti, che successivamente vengono sottoposti a sedute d’indottrinamento invasive: una sorta di lavaggio del cervello che trasforma queste reclute in automi in grado di compiere indicibili nefandezze, grazie anche alla somministrazione di sostanze stupefacenti. L’ultimo attacco, in sequenza temporale, è avvenuto a Maji Moto, tra Oicha e Eringeti, circa 40 chilometri da Beni, nella notte tra giovedì e venerdì scorsi, con un bilancio di almeno 4 morti.