Cosa spinge davvero il Papa al G7

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(Mauro Magatti. Avvenire).

La partecipazione di Papa Francesco al G7 è un evento carico di significato perché spinge un passo più in là il percorso inaugurato mezzo secolo fa, nel 1965, da Paolo VI, il primo pontefice a intervenire in un’assemblea generale dell’Onu. A cui sono seguiti gli interventi di Giovanni Paolo Il, Benedetto XXI e infine dello stesso Francesco. L’invito dice una cosa chiara: in un mondo carico di promesse, ma anche in preda a tante paure, la Chiesa Cattolica viene riconosciuta come voce autorevole che ha qualcosa da dire sulle questioni di interesse generale. La cattedra di Pietro è ascoltata come soggetto vocato a difendere i “beni comuni universali”: la pace, l’ambiente, la dignità della persona, la libertà religiosa. E ora, in relazione ai grandi cambiamenti che si annunciano con le applicazioni dell’intelligenza artificiale, gli sviluppi della tecnica. Beni di cui anche la politica si occupa. Ma che fatica a inquadrare, prima ancora che a promuovere. Non manca chi sospetta che la Santa Sede voglia “fare politica”. Ma non si tratta di questo.

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